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Vasco a Napoli: le due serate del Komandante

Due date. Due sold out. Centomila persone, e nessuno venuto per moda. Lo stadio Maradona trasformato in un fronte comune: palco da una parte, gente viva dall’altra. Vasco Rossi torna a Napoli e non serve nemmeno annunciarlo. Lo sanno tutti che quando arriva, non porta uno spettacolo: riapre una ferita. E ci canta dentro. Fuori c’è gente che ha dormito davanti ai cancelli. Tende, zaini, panini improvvisati. Dentro, mani alzate, voci che cantano prima ancora che partano le basi. Non è entusiasmo: è urgenza. Nessuno vuole essere lì per guardare. Vogliono esserci, punto.

Vasco non cerca frasi da poster. Dice le cose come stanno. E qui, le cose stanno così: il pubblico gli restituisce ogni sillaba con interesse. Perché se lo è guadagnato. Non gli perdonano nulla. Lo seguono perché sanno che sotto ogni pezzo, anche quelli storici, c’è ancora un nervo scoperto.

La scaletta è quella che tutti conoscono. Ma a nessuno interessa la novità.. Ogni pezzo è un colpo secco. La gente non canta, urla. E non lo fa per partecipare, lo fa per resistere. Poi arriva l’omaggio a Lui l’amico Pino. 

Due ore e mezza. Nessun calo, nessuna distrazione. Vasco sta lì, piantato al centro del palco, con la sua voce che non è mai stata bella, ma è sempre stata credibile. A Napoli come sempre Vasco trova il suo specchio una città scomoda e meravigliosa, alla quale rende omaggio senza  inchini e frasi fatte. Vasco ancora una volta non è solo musica, ma memoria, resistenza, passione e liberazione. E’ quel grido che ti porti dentro quando la vita ti strattona, ma tu non vuoi mollare. 

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