Stefano, il docente anti-Meloni, sospeso dall’ufficio scolastico regionale
La sospensione cautelare è arrivata come un atto inevitabile. L’Ufficio scolastico regionale per la Campania ha fermato il professor Stefano Addeo, 65 anni, docente del liceo “Medi” di Cicciano, per garantire – si legge nella nota ufficiale – “la serenità della comunità scolastica”. Il provvedimento resterà valido fino alla conclusione del procedimento disciplinare, nel rispetto delle procedure previste.
Dietro quella sospensione, però, c’è una valanga già in corsa: l’ondata di polemiche seguita alla pubblicazione su Facebook di un post tanto breve quanto violento. Addeo aveva rivolto un augurio di morte alla figlia della premier Giorgia Meloni, evocando il nome e la tragica fine di Martina Carbonaro, la ragazza quattordicenne di Afragola uccisa dall’ex fidanzato. Uno scritto che ha immediatamente fatto il giro del web, provocando indignazione e condanne unanimi.
Travolto dalla bufera, il professore non ha retto. Due giorni dopo la pubblicazione del post, ha tentato il suicidio. Un gesto disperato, forse l’unico modo che ha trovato per sottrarsi all’esposizione mediatica, al giudizio pubblico, e alla vergogna che lui stesso ha ammesso di provare. Ha assunto una miscela di psicofarmaci e alcol e ha telefonato alla dirigente scolastica del suo istituto, confidandole l’intenzione di farla finita. È stata lei a lanciare l’allarme. I carabinieri e il 118 sono intervenuti tempestivamente nella sua abitazione. Addeo è stato trasportato in codice rosso all’ospedale di Nola, dove è rimasto ricoverato fino a questa mattina.
Le sue parole dal letto d’ospedale sono state poche ma cariche di disperazione: «Ho sbagliato. Ma non meritavo questo linciaggio. Ho chiesto scusa. Non ce l’ho fatta a reggere». Una frase che dice molto, forse tutto, sul crollo emotivo e psicologico di un uomo che ha visto il suo errore diventare mostro. Il ritorno a casa, avvenuto oggi, è stato accompagnato da un’unica dichiarazione: «Sto meglio. Ma non ho più commenti da fare. Ogni mia parola si ritorce contro di me. Da adesso, scelgo il silenzio».
Poche ore prima del gesto estremo, Addeo aveva pubblicato anche una lettera aperta, indirizzata direttamente alla presidente del Consiglio. Le chiedeva un incontro per potersi scusare guardandola negli occhi. Una richiesta che – secondo fonti interne a Palazzo Chigi – era stata presa in considerazione: la premier avrebbe dato disponibilità a un confronto privato. Poi, la notizia del ricovero.
Ora restano il silenzio e l’attesa. Quella di una procedura disciplinare ancora in corso. Quella, forse più lunga, di una riflessione collettiva sul peso delle parole, sul confine tra responsabilità e distruzione, e su quanto velocemente si possa passare da colpevoli a fragili.