Santo Romano e il video dei suoi ultimi istanti di vita, l’importanza della diffusione per comprendere e prevenire la violenza
La violenza giovanile che si diffonde attraverso il prisma delle immagini offre una prospettiva potente e complessa. Scandagliare la sequenza degli ultimi momenti di vita di Santo Romano, il 19enne ucciso a San Sebastiano al Vesuvio, è prassi giornalistica, doverosa e dolorosa. Quello che dovrebbe arrivare a seguito della diffusione del video non deve essere solo un atto di osservazione ma un’esperienza, in grado di coinvolgere lo spettatore a livello sensoriale e anche psicologico, soprattutto i giovani, i coetanei di Santo e del suo assassino di soli 17 anni.
Seppur sfocate, sgranate, in questo video è difficile non riconoscere le espressioni facciali. Questo amico di Santo che si porta le mani sul capo, un altro si stende sul corpo del ragazzo ferito, le urla, lo sparo. Tutto riporta in pochi secondi ad una gamma di emozioni dalla paura al dolore, dall’angoscia alla disperazione. Accade così che al cospetto di questi gesti, e della loro potenza, l’istinto naturale dovrebbe essere quello dell’immedesimazione tale da generare una reazione collettiva oltre la mera indignazione, invitando ad una profonda riflessione sulla fragilità della vita e sulla banalità della violenza.
Le immagini, inoltre, riescono ad avere il potere di normalizzare o demonizzare certi comportamenti. In un contesto in cui la violenza viene rappresentata nei media come un mezzo per risolvere conflitti o guadagnare rispetto, i giovani potrebbero percepire le stesse azioni come accettabili. Attraverso queste immagini, in cui si vede Santo morire, si deve necessariamente capire il contrario, che la violenza non deve essere presentata come un atto eroico, avallando quella cultura in cui atti estremi possono sembrare inevitabili o addirittura desiderabili.
La diffusione delle immagini come quelle della morte di Santo devono fungere da catalizzatori per il cambiamento. Spingere sempre più ad una discussione pubblica, ad una mobilitazione sociale e ad una presa di coscienza collettiva. La viralità dei contenuti ha il potere di amplificare le voci che chiedono giustizia, come quelle della famiglia di Santo e di tutti i ragazzi morti per un futile motivo. Le immagini chiedono prevenzione, creando una pressione sociale che non può essere ignorata.