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Napoli: omicidi Tufano-Durante, 16 arresti di cui 6 minori

C’è una generazione che cresce tra le ombre dei vicoli, nutrita da un’educazione criminale trasmessa più in fretta di qualsiasi lezione scolastica. È la gioventù armata dei quartieri popolari di Napoli: una generazione arruolata troppo presto, troppo facilmente, da clan che hanno cambiato volto ma non logica. 

Una maxi operazione di carabinieri e polizia ha portato questa mattina all’esecuzione di 16 ordinanze di custodia cautelare nel cuore di Napoli, di cui sei a carico di minorenni. È l’esito di mesi di indagini sugli omicidi di Emanuele Tufano, 15 anni, e Emanuele Durante, 20 anni, avvenuti a distanza di cinque mesi l’uno dall’altro, nel centro della città.

Ma oggi emerge la verità: non si trattava di episodi isolati, né di faide adolescenziali. Le due vittime si conoscevano, erano legate allo stesso gruppo criminale. E quello che fino a poco tempo fa si sarebbe chiamato “paranza dei bambini” è invece, secondo il procuratore capo Nicola Gratteri, un vero e proprio clan camorristico a tutti gli effetti: «Non sono ragazzate, non si tratta di paranze. È camorra».

Le indagini – condotte dal Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Napoli – hanno permesso di ricostruire un intreccio criminale inquietante, che fa impallidire anche le fiction più crude sulla malavita. Una rete fatta di legami di sangue, vendette simboliche, ruoli precisi e strategie di dominio del territorio.

Emanuele Tufano, 15 anni, è stato ucciso lo scorso 24 ottobre nel corso di un conflitto a fuoco tra ragazzi del rione Sanità e altri del quartiere Mercato, legati al clan Mazzarella. Una “dimostrazione armata”, una spedizione punitiva in pieno giorno, culminata in uno scontro tra scooter e pistole. Tufano è caduto colpito da un proiettile partito da un’arma alleata. Fuoco amico, dicono le indagini.

Era il nipote della madre di Salvatore Pellecchia, figura di spicco del clan Sequino, scarcerato pochi mesi prima e ritenuto uno dei mandanti delle successive azioni criminali. La sua morte non poteva restare impunita. Non per amore, non per dolore: ma per logica mafiosa.

Il 24 marzo, a cinque mesi di distanza, viene ucciso Emanuele Durante, ventenne, parente della giovanissima Annalisa Durante, usata come scudo umano nel 2004 e uccisa in un altro scontro tra clan. Emanuele è seduto nella sua Smart, in via Santa Teresa degli Scalzi. Due ragazzi in scooter lo affiancano. Uno spara. Durante è ferito, tenta di fuggire ma tampona un’auto e muore pochi istanti dopo.

Secondo la ricostruzione della DDA, Durante è stato scelto come capro espiatorio, un sacrificio per dimostrare la permanenza del potere del clan Sequino. Il procuratore aggiunto Sergio Amato è chiaro: «Uno di loro doveva essere sacrificato, e forse viene scelto quello più lontano dalla catena di comando».

Le accuse sono durissime: omicidio, tentato omicidio, porto e detenzione di armi da fuoco, con l’aggravante del metodo mafioso. Nei video sequestrati dagli inquirenti, i giovanissimi imbracciano pistole, mitra, fanno sopralluoghi, progettano agguati come veterani.

È la prova che non si tratta più di bande disorganizzate di ragazzi abbandonati a sé stessi, ma di strutture criminali vere e proprie, capaci di pianificare, ordinare, e compiere omicidi con freddezza e regole interne. 

Ragazzini trasformati in soldati di un sistema che usa TikTok come bacheca del potere e Instagram per rivendicare dominio con pose e mitra. L’illusione è quella di un’identità, di un’appartenenza, di uno status. Ma dietro ogni like c’è una vita in frantumi, una famiglia devastata, una condanna non scritta che si tramanda di padre in figlio, di zio in nipote, di quartiere in quartiere. 

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