Monte Faito crollo funivia: la ricostruzione della tragedia, le quattro vittime

Non è una notizia qualunque, né una fatalità qualunque. È un colpo al cuore di una comunità intera, ed è una ferita aperta che si affaccia sul mare e sulla montagna, dove ogni estate migliaia di persone salgono per trovare un respiro, una vista più ampia, un po’ di pace. Ma ieri, a quell’ora che sembrava come tutte le altre, la cabina della funivia diretta al Monte Faito si è trasformata in una trappola fatale.

Ore 14:40. La corsa della funivia parte regolarmente dalla stazione a valle di Castellammare di Stabia. A bordo, cinque persone: turisti stranieri, un tecnico, vite diverse che avevano incrociato il loro destino per pochi minuti, quelli necessari a raggiungere la cima.

Ore 15:00 circa. Qualcosa si spezza. Letteralmente. Il cavo di trazione principale, cuore dell’intero sistema, cede. La cabina, che si trovava già a diversi metri da terra, perde l’equilibrio, s’inclina, poi precipita. Un volo nel vuoto, improvviso, senza scampo. La struttura si schianta al suolo, piegata su se stessa. 

I primi a lanciare l’allarme sono gli operatori della stazione, che vedono la cabina scomparire dal tracciato. Partono subito le chiamate ai soccorsi, ma il luogo è impervio, la visibilità è ridotta da una nebbia fitta che avvolge la montagna come una coperta sporca, e il vento rende ancora più complesse le operazioni. Servono ore per arrivare sul punto dell’impatto. Quando i vigili del fuoco e i soccorritori del Soccorso Alpino giungono sul posto, trovano tre corpi senza vita all’interno della carcassa metallica. Un quarto morirà poco dopo, mentre un giovane, miracolosamente ancora vivo, viene estratto con ferite gravissime. Trasportato d’urgenza all’Ospedale del Mare, lotta ora tra la vita e la morte.

A perdere la vita, Carmine Parlato dipendente Eav,  l’israeliana Janan Suliman, di 25 anni e la britannica Margaret Elaine Winn, di 58 anni. Anche la quarta vittima dovrebbe essere un cittadino della Gran Bretagna, ma al momento la sua identità non sarebbe stata ancora accertata. 

Mentre i soccorritori si muovono come formiche tra alberi e pietre, si scopre che ci sono altre due cabine ferme sul tracciato. Undici persone sono ancora sospese nel vuoto. Le si raggiunge con pazienza e fatica. Vengono tratte in salvo, una ad una. Nessuna ferita fisica per loro, ma gli occhi raccontano qualcosa che resterà.

Cosa si può dire, oggi, davanti a un evento simile? Si può parlare di manutenzione, di errori umani, di tecnologia fragile. Si può aprire l’ennesima inchiesta, indicare responsabilità, annunciare che “mai più”. Ma oggi, a poche ore da quei minuti tragici, resta soprattutto il silenzio. Un silenzio pieno, denso, che abita le case di chi ha perso qualcuno, e quelle di chi ha rischiato di perderlo.

La funivia del Faito non è solo un mezzo di trasporto: è un simbolo, è memoria collettiva. È la salita della domenica, le risate tra i boschi, l’aria più fresca. È anche il cuore fragile di una terra bellissima e ferita. la funivia aveva riaperto per la stagione turistica solo il dieci aprile, dopo avere superato tutti i testi di controllo e sicurezza. Sulla carta di certo. La funivia, la panarella coma la chiamano gli stabiesi più volte però nell’arco degli anni è stata luogo dannato. Nel 1960 quattro furono i morti, ma sicuramente la tecnologia, i controlli e i sistemi di allora non sono nemmeno da accostare. E quindi quello che è successo non è solo un incidente: è uno squarcio. È la conferma che tra bellezza e trascuratezza c’è una linea sottile, che a volte si spezza. Come quel cavo. E quando si spezza, porta giù, nel vuoto.

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