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Geolier una festa il suo rientro a Napoli

Dai fischi dell’Ariston all’abbraccio di Napoli. Geolier, maltrattato prima ancora di salire sul palco di Sanremo per il testo, gabbato da un girone della stampa in cui siedono gli incompetenti, si bea della folla di fan che nonostante la pioggia lo attende. Si bea del calore che da tutta Italia è arrivato con il televoto per decretare la sua vittoria. 

Si bea il ragazzo di Miano, venuto dal nulla, ma che caparbio e resiliente ha puntato sul suo talento, portandolo lontano dalla periferia, regalandolo a chi nei suoi testi ha trovato una scusa, un appiglio, una casa.

L’imponente Geolier che a Sanremo canta nel vulgus verace partenopeo, l’amore tossico tipico dei giorni nostri, declinato però questa volta al maschile, dalla serie anche gli uomini possono essere vittime e non solo carnefici. La storia di un uomo che si interroga su un rapporto malato, vuole cedere ma poi capisce che deve tirarsi indietro, deve chiamarsi fuori, se non vuole finire seduto come passeggero a bordo di un’auto pronta a schiantarsi per volere di una donna diavolo, piuttosto che angelo.

Geolier fischiato e amareggiato che trova la coccola balsamica nelle ugole di chi ripete da giorni la sua canzone.

Al netto delle polemiche, delle chiare forme di razzismo, del televoto si, sala stampa no, è indubbia la vittoria di Emanuele. E non si tratta di campanilismo, perché la sua “I p’ me tu p’ te” è sulle bocche di tutto lo stivale, con il suo sound coinvolgente e il suo messaggio salvifico.  Dopo il rientro nel suo quartiere, la chiamata da parte del sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, per la consegna di un premio tutto meritato.

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