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Falsi incidenti: a Caserta una maxi truffa con a capo giudici di pace, medici e avvocati

Falsi incidenti, referti medici costruiti ad arte, testimoni fasulli e giudici compiacenti: è questo il cuore marcio di una rete criminale che per anni avrebbe inscenato incidenti stradali con l’unico obiettivo di ottenere indebitamente risarcimenti dalle compagnie assicurative. Un meccanismo studiato nei minimi dettagli, con ruoli ben definiti e compensi calibrati per ogni ingranaggio del sistema. E’ stata un’operazione congiunta della Polizia di Stato e della Guardia di Finanza, coordinata dalle Procure di Santa Maria Capua Vetere e Roma, a fare luce sulla vicenda.

Sono trenta, al momento, le persone iscritte nel registro degli indagati. Le accuse parlano di  associazione a delinquere finalizzata alla truffa aggravata, falso in atto pubblico e corruzione. Tra loro, non solo avvocati e medici, ma anche consulenti tecnici, sedicenti testimoni e addirittura tre giudici di pace in servizio presso l’ufficio di Santa Maria Capua Vetere.

Le perquisizioni, eseguite nelle scorse ore, hanno confermato i sospetti maturati nel corso di mesi di indagini. Le truffe seguivano sempre lo stesso copione: finte vittime, spesso finti pedoni investiti sulle strisce o ciclisti “urtati” da auto fantasma, che si rivolgevano a legali compiacenti. Da lì partiva la macchina della frode: medici compiacenti redigevano certificati falsi per attestare lesioni, consulenti e testimoni giuravano il falso in aula, e gli avvocati inoltravano richieste di risarcimento puntualmente accolte da giudici ora finiti sotto inchiesta.

Il sospetto, infatti, è che proprio alcuni giudici di pace abbiano avuto un ruolo determinante nel rendere operativo il sistema, emettendo sentenze favorevoli a risarcimenti milionari in favore di vittime che non hanno mai subito alcun danno. I loro atti sono stati trasmessi alla Procura di Roma, competente per i reati che coinvolgono magistrati.

Un altro nodo fondamentale del sistema era rappresentato dagli intermediari, figure-ombra che gestivano le “comparse”, ossia le persone reclutate per fingere di essere vittime di incidenti. A loro venivano riconosciuti 100-150 euro per ogni “comparsa” e un compenso finale tra i 400 e i 500 euro una volta che il risarcimento andava a buon fine.

Le compagnie assicurative, insospettite dalla serialità e somiglianza delle dinamiche dichiarate negli incidenti, hanno dato il primo input alle forze dell’ordine, segnalando anomalie e ripetizioni sospette. Da lì il lavoro investigativo, che ha scoperchiato un sistema tanto cinico quanto efficiente.

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