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Condannato a 18 anni il minore che uccise Santo Romano: la mamma “nessuna giustizia”

La giustizia, oggi, ha fatto rumore. Non quello solenne del diritto che si compie, ma un rumore sordo, lacerante, come uno sparo che riecheggia due volte. La prima, nella notte tra l’1 e il 2 novembre 2024, quando una pallottola ha strappato via la vita a Santo Romano, 19 anni appena. La seconda, questo pomeriggio, fuori dal Tribunale per i minorenni di Napoli, quando è arrivata la sentenza: 18 anni e 8 mesi per il ragazzo di 17 anni che lo ha ucciso.

Un urlo collettivo ha spezzato l’aria: «Fate schifo!». Era la voce dell’“esercito di Santo”, un centinaio tra amici, familiari, conoscenti, che da ore presidiavano il palazzo di giustizia. Occhi pieni di lacrime e rabbia, mani alzate, slogan gridati con una disperazione che non si spegne. Loro non ci stanno. Non ci sta soprattutto lei, Mena De Mare, la madre di Santo. Una donna che da mesi lotta contro l’oblio e l’indifferenza, e oggi si sente tradita ancora una volta.

«Mi aspettavo giustizia vera – dice con la voce rotta, davanti ai giornalisti – non una pena che si consumerà nei cavilli dei gradi di giudizio. Che messaggio diamo ai ragazzi? Che si può sparare, uccidere, e poi tornare liberi prima dei trent’anni? Questa sentenza è un incentivo a delinquere. Mio figlio non c’è più, il suo assassino un giorno tornerà a vivere. E io, cosa dovrei insegnare agli altri miei figli? Che la vita vale così poco?».

La condanna è arrivata con rito abbreviato. Il pubblico ministero Ettore La Ragione aveva chiesto 17 anni. I giudici ne hanno concessi uno e otto mesi in più. Ma per chi ha perso un figlio, nessuna cifra è sufficiente. Nessuna sentenza cancella la notte in cui tutto è crollato.

La rissa a San Sebastiano al Vesuvio – scoppiata per motivi banali – è finita nel sangue. Una pistola, una scintilla, e un colpo che ha trovato il cuore di Santo. Da allora, la sua storia è diventata simbolo. Non solo della violenza che devasta le periferie, ma di una generazione lasciata troppo spesso sola, senza riferimenti, senza limiti.

«Noi genitori diciamo basta – continua Mena – a questa scia di sangue. Ma servono leggi più dure, sentenze che non puzzino di resa. Qui fuori ci sono ragazzi che chiedono cambiamento, e uno Stato che si gira dall’altra parte. A chi dovremmo affidarli, se non alla giustizia?».

Lo sconcerto è palpabile. Lo dicono gli sguardi, le mani strette, le foto di Santo sollevate al cielo. Un volto giovane, che non potrà mai invecchiare. Mentre l’imputato, con la faccia coperta e lo sguardo basso, è già stato ricondotto nel silenzio del carcere minorile.

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