Affiliato al clan Lo Russo dal carcere di Opera gestiva gli affari della cosca
onostante la condanna all’ergastolo e la detenzione dal 2010, uno dei boss del clan lo russo, comandava a testimonianza, ancora una volta, che gli istituti di pena non sono più luoghi di vera e propria detenzione, li potremmo paragonare a quello che gli stessi boss chiamano bunker, si ritrovano lì rinchiusi, per sfuggire alla cattura, hanno tutti i tipi di confort e nel frattempo riescono comunque ad essere egemoni sul territorio controllati portando avanti gli affari criminali come se sbarre, o muri, non ci fossero.
secondo le indagini portate avanti dalla Dia di Napoli, e che oggi portano a tre arresti, Oscar Pecorelli, boss dei Lo Russo operante nei quartieri di Miano, Piscinola, Marianella, Chiaiano, Don Guanella, con ramificazioni nelle aree centrali della città di Napoli, all’interno della c.d. “Alleanza di Secondigliano”, imponeva la sua legge in materia di estorsione, usura, oltre a organizzare una serie di operazioni inesistenti con intestazioni fittizie.
Detto anche ‘o malommo gestiva tutto dal carcere di Opera, considerato uno degli istituti penitenziari più importanti e sorvegliati del continente europeo, sopratutto per l’elevata presenza di condannati al 41 bis, per intenderci quello che viene chiamato carcere duro.
Cellulari clandestini, comunicazioni whatsapp e mail ed avvalendosi della moglie e del figlio, egli avrebbe continuato a dirigere attività di riciclaggio e di usura, impartendo direttive ai propri familiari e sodali per riscuotere i proventi di attività estorsive.
In particolare, grazie ad una notevole disponibilità di denaro contante, la famiglia dell’indagato avrebbe concesso prestiti a tassi usurari in modo abituale ed organizzato, pretendendone la restituzione con minacce e intimidazioni, ed investendo altresì le somme illecitamente accumulate in orologi di lusso dal valore enormemente sproporzionato rispetto ai redditi dichiarati, reperendoli finanche all’estero (Dubai) con pagamenti in criptovaluta.
I familiari del principale indagato avrebbero, altresì, fittiziamente intestato a soggetti compiacenti immobili e imprese esercenti il commercio di calzature, cuoio e pellame, nonché l’attività di lavanderia e di trasporto su gomma, sia per eludere l’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali sia per finalità speculative e per frodare il fisco attraverso l’utilizzo di false fatture, quantificate in circa 10 milioni di euro. Su queste basi, nel mese di giugno 2024, erano già stati sottoposti a sequestro 8 immobili, 12 lotti di terreno, 5 complessi aziendali, 2 autovetture, 1 ciclomotore, 20 orologi di lusso, 90 rapporti finanziari e circa 400 mila euro in contanti per un valore complessivo di oltre 8 milioni di euro.